
L’equilibrio instabile, le cadute e la perdita di indipendenza della popolazione anziana sono un problema crescente nei paesi sviluppati. La causa principale di tutto questo è l’invecchiamento, fenomeno multifattoriale, specie specifico, che comporta in ogni individuo delle modificazioni fisiche, influenzate sia da condizioni ambientali e stili di vita che da fattori genetici. Quella che interessa il presente elaborato è la modificazione della composizione corporea dovuta agli effetti dell’invecchiamento sul metabolismo.
Il rapporto tra massa magra e massa grassa si modifica e vede la percentuale della massa grassa aumentare del 30%. La causa di questo cambiamento è dato da fattori ormonali che, comportano un abbassamento del metabolismo a riposo e quindi una diminuzione della spesa energetica. Accanto alla variazione della composizione corporea deve essere preso in considerazione il processo di invecchiamento del muscolo scheletrico. Durante questo processo infatti, si verifica una diminuzione delle cellule muscolari e delle loro dimensioni e una riduzione del tessuto elastico. La diminuzione della massa muscolare, altrimenti detta sarcopenia, può essere dovuta alla diminuita secrezione di ormoni quali l’ormone della crescita e il testosterone, con effetti su metabolismo proteico e la sintesi di miofibrille. Oltre alla stimolazione ormonale, è stato ipotizzato che una delle principali cause della perdita di massa muscolare sia rappresentata da una progressiva diminuzione delle unità motorie, data dalla morte di un numero sempre crescente di motoneuroni che trascinano le unità motorie all’inattività. Non vi sono comunque dubbi che il calo di massa muscolare è una delle cause principali della perdita di forza muscolare con conseguente riduzione della capacità di mantenimento dell’equilibrio e un aumento del rischio di cadute e fratture.
Durante il processo di invecchiamento, l’equilibrio diventa un requisito indispensabile per mantenere l’autonomia, insieme alla sicurezza nella deambulazione. Questa sicurezza è data dall’integrazione tra segnali afferenti visivi, vestibolari, ma soprattutto propriocettivi.
Le afferenze visive, in alcuni studi, sono considerate un fattore di rischio, perché a partire dai 65 anni d’età il contributo che la vista dà all’equilibrio decade. Le afferenze vestibolari sono state prese in considerazione per lo più in condizioni di appoggio bipodalico e la maggior parte degli studi, anche in questo caso, ha evidenziato differenze legate all’età. L’attenuazione del fattore visivo e una riduzione delle afferenze propriocettive hanno permesso di studiare i segnali vestibolari, ma è da tenere in considerazione che non è possibile quantificare o eliminare del tutto l’intervento propriocettivo. I segnali propriocettivi rappresentano infatti, l’afferenza sensoriale più importante nel mantenimento della stabilità posturale statica a tutte le età.
Nel caso di movimenti antigravitari, intesi come attività che contrastano l’instabilità posturale e la gravità, con almeno una fase di appoggio monopodalico (ad esempio camminare, correre e saltare), il controllo propriocettivo è espressione dell’efficienza dei riflessi stabilizzatori nel controllo della stabilità verticale.
Ad una normale velocità di deambulazione, l’80% del ciclo del cammino avviene in una situazione di appoggio monopodalico, mentre il periodo di doppio appoggio risulta essere del 20% (secondo gli studi condotti da M. P. Murray, A. B. Drought e R. C. Kory, e da D.A. Winter,). Questo suggerisce un ruolo importante della single stance stabilty nella sicurezza della deambulazione. Studi (eseguiti da M.P. Murray, R.C. Kory e B.H. Clarkson; M.E. Chamberlin, B.D. Fulwider, S.L. Sanders e J.M. Medeiros) hanno stabilito che l’aumento dell’età è associato alla diminuzione della lunghezza del passo, della velocità, dell’appoggio monopodalico e da un aumento della larghezza del passo. Altri invece che il declino dei parametri della deambulazione non è dovuta principalmente all’invecchiamento, ma possono essere considerati come adattamenti stabilizzanti legati alla paura di cadere (S.R. Lord, D.G. Lloyd e S.K. Li; M.P. Murray, R.C. Kory e B.H. Clarkson; M.E. Chamberlin, B.D. Fulwider, S.L. Sanders e J.M. Medeiros; B. Maki; J.M. Hausdorff, B.R. Levy and J.Y. Wey; H.B. Menz, S.R. Lord e R.C. Fitzpatrick).
Per quanto detto sopra, la stabilità in appoggio monopodalico sembrerebbe essere l’elemento chiave dell’efficacia e della sicurezza dei movimenti antigravitari. La stabilità posturale è stata valutata in diverse condizioni sensoriali (ad occhi aperti e chiusi, su superfici solide e morbide) e in appoggio monopodalico e bipodalico. Il suo peggioramento legato all’età, insieme a quello delle funzioni senso-motorie, è stato dimostrato nelle persone in appoggio bipodalico (S.R. Lord e J.A. Ward; H.Cohen, L.G. Heaton, S. L. Congdon e H. A. Jenkins; P. W. Overstall, A.N. Exton Smith, F. J. Imms, e A. L. Johnson; P. A. Hageman, J. M.Leibowitz e D. Blanke), mentre in appoggio monopodalico è stata presa in considerazione solo la compromissione della stabilità posturale (R. W. Bohannon, P. A. Larking e A. C. Cook; J. A. Balogun, K. A. Akindele, J. Nihinlola e D. K. Marzouk; B. A. Springer, R. Marin, T. Cyhan, H. Roberts e N. W. Gill).
Sono state prese in considerazione anche le differenze legate al sesso. I risultati sono più controversi poiché gli studi effettuati, sia in appoggio bipodalico che monopodalico, hanno portato risultati differenti. Concentrandoci su quelli in appoggio monopodalico, i due studi che si sono soffermati su questo tema hanno rilevato: il primo che gli uomini sono più stabili delle donne a tutte le età, l’altro, più recente, che le differenze tra i sessi non sono evidenti. (J. A. Balogun, K. A. Akindele, J. Nihinlola e D. K. Marzouk; B. A. Springer, R. Marin, T. Cyhan, H. Roberts e N. W. Gill).
Estratto dalla tesi di Laurea di: Camilla CAZZANIGA